Condizione Femminile - Associazione Culturale Galleria Papini

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Condizione Femminile

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INCONTRO SULLA CONDIZIONE FEMMINILE

20 Ottobre 2022 ORE 17.30
  presso lo Showroom dell’Arch. Vittoria Ribighini, Via della Catena 2, Ancona
                                                                              
 
 
IL DIRITTO DI SCEGLIERE
Come può una mostra d'arte trarre spunto dal tema della violenza sulle donne? Il pensiero corre subito ad Artemisia Gentileschi, una delle pochissime protagoniste della storia dell'arte. Lei ha dipinto Giuditta, con la figura tesa e lo sguardo cupo, nell'atto di decapitare Oloferne. Un'immagine indimenticabile, che ci racconta, più che l'eroismo della fanciulla ebrea protagonista del dipinto, il sentimento dell'umiliazione, della rabbia inestinguibile di chi ha subito violenza: la giovane Artemisia, che ne era stata vittima da parte del maestro di pittura, Agostino Tassi. L'arte talvolta può parlare più chiaro delle parole: su questo assunto, la Galleria Papini propone le opere di Michela Fava/Phavakira nella mostra “La solitudine”. Tra i dipinti, uno ha il titolo “Rebirth”, rinascita: dalla frustrazione, che visse la stessa Artemisia durante il lungo e mortificante processo contro il Tassi; dall'ipocrisia della società che, davanti a un'accusa di violenza, tende a giustificare l'uomo con futili pretesti, come l'avvenenza della donna, le sue provocazioni.
Il tempo, da quell'epoca a cavallo tra Cinquecento e Seicento, ha fatto il suo corso, società e istituzioni sono cambiate. Tanta strada è stata fatta, ma tanta ce n'è ancora da fare, per conquistare alla donna la considerazione di individuo-persona, e proteggerne peculiarità, dignità e incolumità. Di strada, ne devono fare tanta gli uomini, che sono chiamati a riflettere su una educazione tradizionale, che considera con accondiscendenza la violenza nei confronti del più debole, in particolare della donna. Ancora, la cronaca ci dice di donne che non accettano prevaricazioni preconcette, di uomini che rispondono alterati da impulsi distruttivi, che tragicamente si lasciano andare alla conquista violenta di consenso.
Una psicologa, una filosofa, una avvocato, donna di legge, proveranno a chiarire i termini di un conflitto tra generi, che vede da secoli la donna come vittima: dell'affermazione maschile sul più debole; della proclamazione, con atti nefasti, di diritti presunti, ingiustificabili già nella stessa preistoria dell’umanità. Si parla di diritto percepito da un uomo a esercitare violenza su una donna, di arrivare a ucciderla se lei decide di scegliere in libertà, di rompere un rapporto. In una società civile moderna, qualsiasi forma di abuso, indipendente dalla diversità di genere, è insopportabile. Questo, le donne lo sanno bene. Sono gli uomini a essere chiamati a prenderne coscienza.

 
Lucilla Niccolini - Giornalista

 
L’essere umano è violent(o)?
(Indagine sopra ogni possibile sospetto)

 
Il titolo rimanda a un piccolo testo di Luisa Muraro1 che, con quella aggettivazione tronca (e, qui, messa tra parentesi) della vocale maschile, invita a ripensare ai fondamentali grammaticali per riflettere sulla stessa nostra sintassi e, in senso lato, a quella della vita umana relazionale tra persone (e non solo). Perché non c’è dubbio che l’uso, crescente e anche indiscriminato, della violenza nella nostra società invita a pensare che sia proprio venuto meno il senso del patto sociale. In più, quella sessuale chiama in causa il corpo di ogni essere vivente e, qui, quello femminile, diventa un paradigma dolorosamente emblematico, che non può più tacere ruoli e funzioni sociali. E, allora, bisogna misurarsi (e non come semplice ritaglio) con la Storia delle Donne, che si pone come chiave di lettura di tutta una cultura, presunta neutra, che ha violentemente uni-versalizzato il sapere. Si deve inaugurare l’epopea del pluri-verso, in cui si è, di fatto, incardinati e interconnessi. C’è un abisso tra ciò che si dice e ciò che si fa, tanto che l’umanità è sempre più dispersa e paradossalmente isolata, pur nelle attuali interconnessioni. In un famoso testo degli anni 70, Gabriella Parca2, raccoglie i dati e le testimonianze di un’inchiesta condotta fra donne di ogni età sulla solitudine, come male sociale e radice profonda del disagio tra i sessi. E’ una denuncia e una richiesta di fame e di sete, per cui di giustizia vitale, che reclama una sorta di fedeltà-a-sé contro ogni corruzione e violenza. La situazione violenta, soprattutto quella relativa alla violenza sessuale, è sempre un urlo ancora inascoltato e non capito: si tratta di una vera sfida alla logica dei diritti. La legge sulla violenza sessuale3 afferma proprio quel basilare principio per cui lo stupro è un crimine contro la persona e non contro la morale pubblica: il Movimento delle Donne ha dovuto combattere, fin dal 1979, per far entrare, nel Codice, il corpo (femminile) offeso e non la generica morale.

 
Patrizia Caporossi - Filosofa e Storica delle Donne
(https://www.treccani.it/enciclopedia/patrizia-caporossi/)
1 Luisa Muraro, Dio è violent, gransasso nottetempo, Roma 2012.
2 Gabriella Parca, L’albero della solitudine. Dialogo-inchiesta fra donne di ogni età, SugarCo, Milano 1974. Gabriella Parca è stata autrice delle prime inchieste sui rapporti tra i sessi nell'Italia del dopoguerra. Il suo libro più famoso, Le italiane si confessano (Parenti, Firenze 1959), ha avuto quindici edizioni ed è stato tradotto e pubblicato in Francia, Argentina, Germania, Regno Unito, Giappone, Paesi Bassi e Stati Uniti. Da questo libro è stato, inoltre , tratto il film Le italiane e l'amore (1961), a episodi, su scelta di Cesare Zavattini e diretti dai registi Gian Vittorio Baldi, Marco Ferreri, Giulio Macchi, Francesco Maselli, Lorenza Mazzetti, Gianfranco Mingozzi, Carlo Musso, Piero Nelli, Giulio Questi, Nelo Risi, Florestano Vancini.
3 Legge n. 66 del 15 febbraio 1996, Norme contro la violenza sessuale.

 
FACCIAMO LA RIVOLUZIONE
La fotografia scattata il 25 novembre 2021, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne, riproduce ancora un quadro drammatico. A fronte della diminuzione del numero degli omicidi in Italia, l’uccisione di una donna è un dato che rimane costante: ogni tre giorni ne viene uccisa una dal partner o ex partner. Dato confermato ad oggi dai numeri dei femminicidi del 2022. L’indagine svolta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, ci svela amaramente le condizioni e le cause di ogni femminicidio commesso: benché il nostro ordinamento preveda una serie di norme specifiche in materia di violenza maschile contro le donne, raggruppate in un arcipelago normativo potenzialmente efficace per assicurare una tutela adeguata e tempestiva delle vittime, tale impianto normativo non trova una corretta applicazione nella realtà dei fatti. Questo risultato non sorprende chi come me, avvocata dell’ufficio legale della Associazione Differenza Donna, opera quotidianamente nei tribunali al fianco di donne vittime di violenza di genere. Le procedure e la mera applicazione delle norme risultano spesso contaminate da forti stereotipi di genere che possono portare magistrati, forze dell’ordine, servizio sociale e ogni altro operatore ad adottare un comportamento fondato su pregiudizi di genere, e ostacolare di fatto il percorso di fuoriuscita dalla violenza di una donna, non applicando le leggi vigenti, rallentandolo o peggio contribuendo ad aggravare la situazione di violenza in cui la donna vive. È di tutta evidenza che ancora oggi la nostra cultura sia intrisa di pregiudizi discriminatori, per cui nessuno e nessuna può esimersi dal considerarsi persona portatrice di una cultura il cui sostrato patriarcale non solo attiva la violenza, ma arriva anche a giustificarla. Conseguenza diretta di questo atteggiamento culturale dinanzi alla violenza che le donne subiscono, nella giustizia e nella società, è la sottovalutazione della gravità stessa del fenomeno che incide anche sulla qualità ed effettività della risposta istituzionale. Di recente l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per l’utilizzo, nel fare giustizia, di stereotipi sessisti con cui si minimizza la violenza di genere esponendo le donne a una vittimizzazione secondaria. Il femminicidio viene raccontato come un atto incomprensibile e imprevedibile, che nessuno si sarebbe mai aspettato, eppure le donne, prima di essere uccise, hanno subito da parte del loro assassino violenze fisiche e psicologiche, ricatti economici e umiliazioni, punizioni e violenze sessuali. Indici questi di valutazione del rischio ignorati dalle istituzioni e dal contesto sociale dimostratosi troppo spesso tollerante nei confronti dell’uomo violento. Le norme vigenti possono assicurare risultati concreti nel contrasto alla violenza maschile contro le donne, ma c’è bisogno di un salto di qualità del nostro Paese, una rivoluzione culturale che inneschi il necessario cambiamento di approccio e intervento di tutti coloro a cui le donne si rivolgono per chiedere aiuto.
Rossella Benedetti - Avvocata

 
LA SOLITUDINE AFFETTIVA
Le bellissime opere dell’artista ritraggono giovani donne, a volte incomplete e difettose, in una atmosfera surreale; lo sguardo è a volte angosciato e i corpi sospesi nel vuoto. Alcune parole scritte in inglese: “amami”, “sorridi è il giorno del tuo compleanno”, “vita e morte”e “sola” sembrano frammenti di storie interrotte che evocano la condizione di solitudine della donna. Mi colpisce il quadro in cui una donna è seduta davanti ad un tavolo con sopra un grande cuore avvolto dai fili e legato alla sua mano. La giovane donna, all’altezza del cuore ha un buco nel corpo e quello che guarda con tristezza è il suo cuore. Nella parete, alle sue spalle,ci sono dei grandi occhi incorniciati che sembrano spiarla. L’immagine drammatica mi richiama una problematica psicologica soprattutto femminile molto diffusa nella nostra realtà sociale: la Dipendenza affettiva. Giovani donne si imprigionano in un vincolo di coppia che offusca i propri bisogni e si incatenano all’altro soffocando la propria individualità, sentendosi inadeguate e non degne d’amore,vivendo costantemente con il terrore di essere abbandonate dal partner. La paura della solitudine le spinge a controllare l’altro con comportamenti compiacenti, di estrema sacrificalità, disponibilità e accudimento, con la speranza di rendere la relazione stabile e duratura. La tendenza è di scegliere dei partner egocentrici ed anaffettivi che finiscono per confermare in loro di non valere. La bassa autostima le spinge a cercare continue conferme e a leggere i segnali di non disponibilità dell’altro non come:”E’ un narciso egocentrico” ma come: “Non mi ama perché io non vado bene”. Il risultato è l’ansia e la sensazione di vuoto. e si crea una relazione distruttiva. Le cause di questo  disagio sono molteplici e legate sia agli stereotipi sociali che colpiscono la donna e sia ai traumi infantili e dell’attaccamento. L’arte ha una funzione terapeutica di creare uno spazio di rispecchiamento in cui incontrare se stessi, esprimere le emozioni e confrontarsi con gli aspetti più profondi di sé.
Grazia Cotoloni – Psicologa e Psicoterapeuta
 
 

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