Tre Assi - Associazione Culturale Galleria Papini

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Tre Assi

Mostre > 2021
TRE ASSI
 
Mostra di Carlo Cecchi, Bruno Mangiaterra, Rocco Natale

6 - 21 Novembre 2021
Inizio mostra: Sabato 6 Novembre 2021
                      ore 17.30 presentazione presso lo ShowRoom Vittoria Ribighini
                      ore 18.00 Esposizione presso Galleria Papini

 
Stay tuned: sul tavolo non vedi un semplice tris d’assi, c’è molto di più. Carlo Cecchi, Bruno Mangiaterra e Rocco Natale sono i tre assi nella Galleria Papini di Ancona, impegnati in una mano vincente. Le carte girano al meglio (ma anche le sculture) e si crea così un intreccio compiuto e complementare con l’altro protagonista perfetto: la storica galleria che li ospita.  
L’asso di quadri della pittura e dei doppi sensi è Carlo Cecchi: la sua rivelazione ci regala il seme dell’arte, col suo bagaglio segreto di disegno e colore. Occorre cominciare a capire la sua opera, innanzitutto, dal gesto antico e attuale della china che si rapprende, sulla carta, al primo tocco: sta qui l’inizio di tutto perché è qui che si accende l’idea e l’emozione. Ed è già da qui che prende corpo l’atto della creazione, attimo misterioso che svela e concretizza reminiscenza e desiderio. Nella mise en scène della galleria il dialogo di Carlo sollecita un’intenzionale unità visuale, grazie all’inevitabile evocazione della pittura e della sua secolare storia. Il risultato, per chi guarda e riesce a comprendere, nell’opera, un chiaro punto d’arrivo della cultura occidentale, è l’impatto consapevole con il privilegio di chi possiede un raro talento. È questo talento, quasi magico, a muovere l’universo di Carlo Cecchi e ad aprire la dimensione di un mondo in cui in cui emozioni, frammenti di vita e di memoria diventano la chiave di lettura di un personalissimo intervento artistico, dove ogni senso può essere svelato e sembra che tutto possa essere guardato, pensato e ascoltato. Dalla memoria giovanile emergono i versi di Rimmel: “Chi m’ha fatto le carte/ m’ha chiamato vincente, ma è uno zingaro: è un trucco./E un futuro invadente, fossi stato un po’ più giovane, /l’avrei distrutto con la fantasia…”. Forse anche Carlo rammenterà i quattro assi di un colore solo ... Ebbene, anche la pittura può essere metafora del gioco in cui si manifesta, con arte, un pensiero che diventa immagine, mentre l’immagine, se riconosciuta come arte, diventa messaggio e poesia. L’arte, dunque, può essere simile a una partita a poker in cui la strategia del pittore crea – tramite una serie di scelte aleatorie - una rivincita formale e semantica. Così le carte di Carlo (quelle su cui galleggiano i suoi segni poetici) parlano di un antico senso di resistenza intellettuale all’inarrestabile avanzare di un mondo tecnologico che, con la sua velocità, prosciuga ogni giorno di più gli spazi del desiderio e della libertà di pensiero. Oggetti fuori luogo? Disegni spaesanti? In che sorta di mondo ci ha precipitato Carlo? Un mondo in cui si rappresenta la spontaneità e una dimensione esistenziale della vita (logica e illogica), in cui il passato (per l’artista) appare assai più misterioso del futuro che ancora non esiste, in un tentativo di arrestare l’irreversibilità del tempo (ahimè) attraverso la pratica artistica. L’arte, infatti, ha bisogno del caso (anagramma di caos), dell’interazione di immaginario popolare e di cultura raffinata: l’arte presenta sempre il rischio irrazionale di giocarsi e di perdere tutto contro l’avversità del destino, contro la norma che deve essere inevitabilmente ribaltata. E se ciò accade è vittoria assoluta.
Così è se vi pare”: perché oggi, in pittura, c’è tanta, anzi troppa, decorazione che riduce il rischio e pochi si fermano a riflettere sul passato, sul concetto di tempo, sulla bellezza dell’elemento estetico al di là del dato utilitaristico.    
E ancora nel territorio della pittura ci muoviamo con Bruno Mangiaterra, in una pittura post concettuale, post analitica e, anzi, densamente speculativa. Bruno è un grande artista e un grande uomo: un vero asso di cuori. La finitezza e la politezza accurata delle sue opere ci mostrano tutta la sua capacità di praticare l’avventura espressiva come pensiero generatore di immagini. Le sue due grandi carte, dipinte ad olio, sono state intelate e sembrano aprire lo spazio della galleria con una profondità da cinemascope. La sua poetica è intessuta di rara sensibilità, di un che di elegiaco e persino di una bontà accomodante e intelligente: virtù rara (soprattutto negli artisti). La testa è tonda come un pianeta che gira, gira e, proprio per questo, mai cade giù. Così spesso afferma gioiosamente Bruno, che s’interroga perennemente sulla complessità dei sistemi estetici (stratificati concettualmente): da quelli sperimentati su più larga scala sino alla ricerca e all’apparente contraddizione di materiali misteriosi e, al tempo stesso, comuni come la pietra. Nascono così impreviste impennate creative, originate da una essenzialità espressiva e da un sentire assolutamente idilliaco. E con Bruno cito l'antropologo francese Marc Augé, conosciuto al FestivalFilosofia di Modena, che si addentrava nel concetto d’interiorità e di alienazione presente nella società contemporanea, rivendicando la necessità di una sana e vitale esistenza interiore, la funzione terapeutica della poesia e l’importanza di sintonizzarsi su un'interiorità troppo spesso espunta dalla quotidianità.
La mistica del pensiero concettuale dell’artista, insieme alla sua “testa/mondo” ruota attorno all’idea di “pietra filosofale”, con una verve dissolutoria e inedita, con una sagacia libera e leggera, nutrita d’immaginazione sensibilissima: è la facoltatività di guardare diversamente al mondo e di ritrovare l’aurea pepita con levità non predicatoria, e comunque seria.
Ut pictura poesis: tutto è posto nell’anima. Quanta diversità di vedute con Carlo (nonostante le mille affinità).  Bruno guarda al futuro, lontano da rappresentazioni precostituite e stantie. Il suo procedere con l’interiorità esistenziale, con la sistematica messa in dubbio delle nozioni di certezza estetica, porta a rompere il cerchio magico che appiattisce l'avvenire su un eterno, allucinato presente, oppure su un passato che si nutre dell’azione “filosofale”. La trasformazione della pietra in oro vero sarà la moneta con cui ci potremo muovere nell’avvenire: dunque stay tuned.
L’asso di fiori è Rocco Natale, per i quale devo chiedere scusa a chi mi legge se pretendo un’attività immaginativa supplementare: con le sue sculture ci addentriamo tra archetipi memorialmente ascendenti, che rimandano ad esplorazioni in anfratti espressivi, scandagliati con una caparbietà estetica stupefacente: solo così la scultura si trasformerà in sostanza distante dalla grecità, in una identità data da forme cresciute nell’interiorità. Una scultura melottiana dunque? E chi non ha debiti con Melotti? E chi non ha debiti con Arturo Martini e con la sua “cupio dissolvi”. Cose, forse, ovvie? Eppure sono state le coordinate di un procedere verso gli esiti del presente. Naturale che le installazioni plastiche offrano elementi germinativi: dall'espressione della forma alla materializzazione del pensiero e dell'idea, assistiamo all'emergere dell'intangibile, oltre la materialità della materia.
Rocco porta in scena, in una sorta di mutuo sodalizio perfetto, come in uno sposalizio ben riuscito, la bellezza antica del mestiere sfrondata da ogni superfluo accademismo. Ferro, ceramica, fili, materiali adespoti e strutture materiche tattili e sensuali diventano l’orizzonte di una inedita scultura. I materiali scelti sono il frutto di un’operazione di archeologia del presente, con un necessario recupero di scarti della contemporaneità. Sono le strutture costruite con tali materiali che permettono a Rocco di elaborare una dimensione poetica. Gli accostamenti inusuali di materiali, apparentemente privi di immediato carisma estetico, diventano metafora della sensibilità interiore dell’artista. E così diventa prodigio guardare il calco di una vecchia borsa d’acqua calda che è diventata elemento ceramico policromo, generatore di verticalità prive di gravità, di fili che salgono verso un astro di stracci. L’elemento narrativo si coniuga (anche con ironia) ai riferimenti etici e green (la preziosità dell’acqua, il surriscaldamento globale…). La rettitudine morale dell’esecutore parla della necessità di comprensione della bellezza del mondo e di tutte le sue parti. E intanto la “borsa” oscilla tra ricordi ancestrali e rimandi poveristi.  La fattura esecutiva dei fili di lana evoca ancora la lentezza del gesto antico, che sutura, che rammenda, che ripara e che rinvia ad una dimensione dilatata e profondamente umana del tempo. Emerge, evidente, la ricerca dell’artista di relazioni e confronti tra pittura e scultura. Troviamo spesso l’elemento ceramico nelle sue opere recenti, perché la ceramica simboleggia la terra in quanto crea piacere visivo ed evoca la dimensione ancestrale della femminilità. Così il parallelepipedo ligneo che supporta un torso ceramico (o quello che ne è rimasto come forma residua) assume una dimensione cosmica, che non è data unicamente dai fili di lana che salgono verso una sfera. Piccole cose di piccolo conto che hanno però storia e vissuto spirituale e portano il significato su un dialogo con l’essenza di oggetti ed elementi del quotidiano. Rocco è dunque uno scultore crepuscolare, dove gli oggetti legati da fili contengono un racconto ed una morale: come le favole o le massime dei saggi.  Tra installazione, assemblage ed environmental i suoi lavori esprimono perfettamente un sentimento del vissuto che origina dai materiali costitutivi e un concetto della storia/tempo che rientra pienamente negli orizzonti estetici della migliore contemporaneità. Perché non basta il pensiero o l’idea, né basta il concetto. È così che, davanti ai nostri occhi, appaiono opere che portano ben al di là del pur complesso raccontare e dell’intreccio raffinato del reale e dell’onirico. Ed è così che, alla fine, la sensualità dell’arte diventa l'unica lingua adatta ad esprimere il senso di questi esteti e del loro incessante saper creare: perché l’arte diventa arte quando, come un fuoco, si alimenta di ciò che consuma. E la forza creativa diventa ancora più efficace se, nel suo farsi poesia, si accresce dell’afflato con il contenitore. Poker!

(Gianfranco Ferlisi)
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